• Mar. Mar 19th, 2024

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A cura di Caterina Carloni, psicoterapeuta

BLOG DI MEDICINA PSICOSOMATICA & PSICOLOGIA OLISTICA - Impariamo a leggere i sintomi fisici come linguaggio dell'anima e ad utilizzarli in chiave conoscitiva, positiva ed evolutiva

MALDICENZE E PETTEGOLEZZI da Giulio Cesare ad oggi

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L’assassinio di Giulio Cesare, K.T. von Piloty, 1865

Pettegolezzi e gossip sono tra i contenuti centrali di molte riviste e giornali, l’argomento preferito nei salotti e forse la parte più divertente delle riunioni tra amici. E non rappresentano certo un’invenzione dei nostri giorni o la conseguenza dell’abitudine ad utilizzare chat, social e profili online.

Benché il Maestro per eccellenza dell’antica Roma, il grande Seneca, ammoniva il suo discepolo Lucilio di “vivere con gli uomini come se un Dio ti vedesse e di parlare con Dio come se gli uomini ti ascoltassero”, in realtà ai suoi tempi la diceria, il pettegolezzo, la ciarla che sfiorava la diffamazione, erano ampiamente utilizzati sia come strategia politica e di potere che come collante sociale.

La parola “Gossip” sembra discendere dall’inglese antico (God-sibb) e significa “collegamento tra due persone per volere di Dio”.

Il termine “pettegolezzo” potrebbe derivare dal dialetto veneto petegolo e indicare un “piccolo peto” oppure discendere dalla parola pithecus, scimmia. Alcuni piscologi sociali (Dunbar, 1993) hanno ipotizzato infatti che il pettegolare degli uomini assomigli allo spulciarsi dei primati, ad una specie cioè di grooming, con cui si cementano le relazioni e si mantiene il contatto con tutti.

Gli argomenti classici del pettegolezzo sono in genere gli errori, le disgrazie e i fallimenti altrui, le cattive maniere, l’incoerenza tra i valori etici sventolati da una persona e i suoi comportamenti reali, le antipatie innate ecc. (Jorg R. Bergmann, 1993).

Ma quali sono gli ingredienti di un pettegolezzo?

  1. Deve riferirsi ad una terza persona, assente nel momento in cui se ne parla;
  2. La persona di cui si parla deve essere nota tanto dal “pettegolo” che da chi lo ascolta;
  3. La confidenza sulla terza persona deve implicare un giudizio di valore.

Alcuni testi di psicologia sottolineano come il pettegolezzo, che mira sempre a ledere la reputazione di qualcuno, svolga in effetti anche una funzione importantissima nel “rafforzare i legami sociali, rendere prevedibile la realtà e promuovere comportamenti cooperativi” (Pettegolezzi e reputazione, parlare degli assenti, N. Cavazza, 2012).

Altri ipotizzano che anche l’oggetto del pettegolezzo potrebbe trarne qualche vantaggio (La gente mormora. Psicologia del pettegolezzo, S. Guarinelli, 2014).

Non c’è dubbio che il pettegolezzo rilassi, metta di buon umore, aiuti a stringere amicizie e, secondo recenti studi americani, aumenti perfino l’autostima.

Lo sapeva bene lo storico più pettegolo di Roma, Svetonio, che nella sua Vita dei Cesari (120 d.C.) ci informa, tra l’altro,  della vita segreta dell’uomo politico più influente della Roma pre-cristiana, Giulio Cesare, dipingendolo come vanitoso, bisessuale, “marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti”, il quale, al ritorno dalla Gallia, fu acclamato per le sue conquiste  al canto di “Cesare sottomise le Gallie e Nicomede (sottomise) Cesare”, alludendo ad un suo presunto rapporto omosessuale col re di Bitinia, da cui aveva ottenuto troppo facilmente, secondo i suoi detrattori,  la potente alleanza. Tuttavia, malgrado Cesare dovette subire per tutta la vita  pesanti maldicenze circa il suo rapporto particolare con Nicomede e in genere per le sue tendenze sessuali (in realtà meno rare e meno scandalose di quanto si possa pensare) non sembrò minimamente risentirsene; anzi, da uomo politico accorto, riuscì a trarne tutti i vantaggi possibili, in primis una forte popolarità e la certezza di essere sempre al centro della scena, anticipando quel “parlate di me, parlatene pure male, purché ne parliate” (Oscar Wilde ne Il ritratto di Dorian Grey).

Nello stesso tempo, se il pettegolezzo è da sempre così diffuso, è molto probabile che i nostri antenati se ne servissero per motivi pratici: ad esempio serviva a stringere alleanze utili alla  sopravvivenza; riduceva l’ansia e l’incertezza di fronte a possibili attacchi nemici creando  solidarietà e coesione all’interno del proprio gruppo; aiutava a capire l’atteggiamento dell’interlocutore di fronte ad un terzo soggetto ecc.

Tuttavia, l’effetto di una diffamazione o di un pettegolezzo su soggetti psicologicamente più deboli, soprattutto ai tempi dei social e della loro inarrestabile cassa di risonanza, non è da sottovalutare. Ne sono prova le numerose vittime di “foto rubate”, cyberbullismo, maldicenze gratuite, di derisioni, offese alla persona, ghettizzazione di gruppo, con conseguente isolamento della persona, spesso adolescente, e con l’inevitabile lesione dell’immagine di sé  che porta a ricadute psicologiche più o meno gravi.

Celebre la storiella che raccontava San Filippo Neri (1515-1595) sull’insidiosità della maldicenza. Una volta, per penitenza, ordinò ad una pettegola incallita di spennare una gallina e poi di spargerne per tutta Roma le penne e le piume. Dopo che lo ebbe fatto, le disse di andare di nuovo per tutta Roma a raccogliere le penne e le piume che aveva sparso. I pettegolezzi, le spiegò il Santo, sono come le piume di una gallina: una volta che sono stati sparsi, è impossibile riuscire a frenarli.

Pettegoli e maldicenti hanno in comune una certa povertà interiore, la tendenza ad esteriorizzare la comprensione del mondo, a parlare di fatti esterni piuttosto che di vissuti personali, ad evadere dai propri problemi parlando di quelli altrui, a sminuire gli altri per innalzare  la propria autostima.

Alcuni pettegolezzi sono innocui, come le chiacchiere su qualche personaggio famoso,  che spesso è ben felice di comparire sulle copertine dei giornali e di essere invitato nelle trasmissioni televisive, ma altri pettegolezzi possono essere devastanti e sconvolgere  l’equilibrio psicologico di chi ne è colpito.

Il rimedio in questi casi è uno solo: evitare di diffondere le maldicenze e i pettegolezzi, non rinforzarli in alcun modo, rispondere ad essi con indifferenza, e rammentare che “il pettegolezzo, per esistere, ha bisogno di pettegoli”.

Caterina Carloni

Di Cateca

Caterina Carloni, psicologa e psicoterapeuta