• Lun. Ott 14th, 2024

VEDAM

A cura di Caterina Carloni, psicologa & psicoterapeuta

BLOG DI MEDICINA PSICOSOMATICA & PSICOLOGIA OLISTICA - Impariamo a leggere i sintomi fisici come linguaggio dell'anima e ad utilizzarli in chiave conoscitiva, positiva ed evolutiva

La storia di Sisupala – Il demone dell’invidia (V° e ultima parte)

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“Privo di ogni buona fortuna, Sisupala pronunciò questi insulti e altri ancora, ma il Signore Supremo rimase in silenzio, proprio come un leone ignora il grido di uno sciacallo.

Udendo quelle intollerabili offese rivolte al Signore, numerosi membri dell’assemblea si coprirono gli orecchi e se ne andarono incolleriti, maledicendo il re di Cedi.

Chiunque non abbandoni immediatamente il luogo dove si critica il Signore Supremo o un Suo fedele devoto, certamente si degraderà e perderà il credito di ogni attività pia.

Allora i figli di Pandu diventarono furibondi e insieme con i guerrieri del gruppo dei Matsya, dei Kaikaya e degli Srnjaya, si alzarono dai loro seggi con le armi in pugno, pronti a uccidere Sisupala. 

Impassibile, Sisupala afferrò la spada e lo scudo e nel bel mezzo dell’assemblea dei re, o Bharata, E lanciò insulti contro coloro che si erano schierati dalla parte di Krishna.

A questo punto il Signore Supremo Si alzò e fermò i Suoi devoti, poi lanciò con collera il Suo disco, affilato come un rasoio, tagliando la testa al Suo nemico mentre stava attaccando.

Quando Sisupala fu ucciso, un grande boato si levò dalla folla. Avvantaggiandosi di quel disturbo, i pochi re seguaci di Sisupala lasciarono velocemente l’assemblea temendo per la propria vita.

Davanti agli occhi di tutti, una luce radiosa uscì dal corpo di Sisupala ed entrò nel corpo di Krishna, proprio come una meteora che cade dal cielo sulla Terra.

Ossessionato dall’odio per Krishna nel corso di tre vite, Sisupala raggiunse la natura trascendentale del Signore.

E’ la coscienza individuale, infatti, che determina la futura nascita.”

(Srimad Bhagavatam canto X, capitolo 74, versi 38-46)

Commenta ancora Shrila Prabhupada nel capitolo 73 del Libro di Krishna:

“Quando Sri Krishna vide che una vera e propria battaglia stava per scoppiare nell’arena del propizio rajasuya-yajña, tranquilizzò personalmente tutti i re e nella Sua infinita misericordia e decise di uccidere Lui stesso Sisupala. Nonostante tutto, l’anima fortunata di Sisupala si fuse subito nel corpo di Sri Krishna, davanti agli occhi di tutti, come una meteorite incandescente che cade sulla superficie del globo. Questo ci fa ricordare la storia di Jaya e Vijaya, che dai pianeti Vaikuntha caddero nell’universo materiale per la maledizione dei quattro Kumara. Era stato stabilito che prima di tornare a Vaikuntha, Jaya e Vijaya avrebbero dovuto nascere per tre volte consecutive come mortali nemici del Signore (Ravaṇa e suo fratello Kumbhakarna, Hiranyakasipu e Hiranyaksha, Sisupala e Dantavakra); solo allora avrebbero potuto tornare nel mondo spirituale e servire ancora il Signore come Suoi compagni.

Benché Sisupala avesse agito come nemico di Krishna, non smetteva mai di pensare a Lui. Aveva sempre coscienza di Krishna, e questo gli valse prima la liberazione sayujya-mukti che consiste nel fondersi nell’esistenza del Supremo, e poi gli permise di ritrovare la sua condizione originale di servitore personale del Signore.

L’insegnamento più importante che si può trarre da questo episodio è che dal Suo livello assoluto il Signore Supremo può concedere la liberazione a chiunque, agisca da nemico o da amico nei Suoi confronti. Dire dunque che il Signore abbia sentimenti amichevoli verso alcuni e verso altri sentimenti d’inimicizia, è certamente un errore. Amico o nemico, le relazioni di Krishna con gli esseri sono sempre sul piano assoluto. Nessuna distinzione materiale separa in Lui questi due atteggiamenti”.

E’ scritto nella Bhagavad-gita:

“Colui che medita su di Me, il Signore Supremo, con la mente sempre impegnata nel ricordo della Mia Persona e senza deviare da questo sentiero, sicuramente mi raggiungerà” (Bhagavad-gita VIII.8).

“Senza dubbio sono i ricordi che si hanno all’istante di lasciare  il corpo che determinano la condizione futura dell’essere, o figlio di Kunti” (Bhagavad-gita VIII.6).

Da un  punto di vista puramente psicologico, riconoscere che invidia e gelosia, così come tutti i “sentimenti negativi”, sono insite nella natura umana significa educarci a dialogare emotivamente con una parte profonda e vera della nostra personalità. Non vi sono, infatti, sentimenti negativi se non quelli non sentiti. E’ proprio quando ci neghiamo di sentire e di esprimere un sentimento o un’emozione che questi restano bloccati, sfociando spesso in forme patologiche. Riconoscere ciò che sentiamo, al contrario, è il primo passo per scoprire un’energia che ci appartiene, lasciandola fluire, diluendone l’intensità, controllandola.

Quando tale processo viene cronicamente interrotto, quando vengono evitati l’emergere e l’identificazione del vissuto, quando l’esperienza non viene consapevolmente  simbolizzata, oppure quando l’espressione del sentimento viene costantemente impedita, le persone rimangono intrappolate in un sentimento negativo cronico, funzionano male e si trovano in uno stato di perenne sconforto.

La gelosia e l’invidia devono essere riconosciute, comprese, educate, piuttosto che represse, negate, additate.

“Invidia e gelosia nascondono un notevole potenziale creativo – affermano Navarro e Schwartzberg in “Envy, Competition and Gender” (2007) – che non deve essere negato, ma che necessita di essere coltivato per aumentare il proprio empowerment e arricchire il proprio esserci nel mondo”.

Spostando l’attenzione dal pensare al sentire, tocchiamo la sensazione originata dal turbamento e, mantenendola nel corpo, ci rendiamo conto che è mutevole, in continuo divenire e non così solida e duratura come ce l’eravamo rappresentata allorché la evadevamo, disconoscendola e contemporaneamente continuando a ricrearla compulsivamente col pensiero ripetitivo.

Ogni turamento, in realtà,  nasce nella mente e nella mente finisce.

Continuando a mantenere l’attenzione sulla sensazione, ci accorgiamo che l’energia congestionata nel sintomo si libera e comincia a circolare, rendendosi disponibile per un altro impiego, più salutare.

 “Sin dalle prime fasi della nostra vita, abbiamo sperimentato una  molteplicità di sensazioni, esigenze e bisogni, alcuni dei quali sono rimasti senza parole, perché legati al pre-verbale, ma si sono impressi nel nostro corpo, nella nostra memoria sensoriale (Montanari, Longo, L’integrazione pluralistica nelle tossicodipendenze, 2005).

“L’attenzione alle proprie sensazioni corporee permette di liberare le energie congestionate delle emozioni negative e di farle circolare rendendole disponibili per un riutilizzo positivo. Gandhi conosceva bene quest’arte del “riciclaggio organico”, infatti  dichiarò che tutta la sua energia proveniva da questo lavoro sulle emozioni. Perciò le emozioni “negative” non sono del tutto negative in sé, perché sapendole abilmente sfruttare non sono solo una preziosa opportunità per lo sviluppo dell’insight, ma anche una formidabile fonte di energia” (Lerner H., La danza della rabbia, 2002).

Scrive E. Giusti nel suo libro “Terapia della gelosia e dell’invidia” (capitolo I, La strega in terapia,  edizioni Sovera):

“Di fronte al suo specchio, la strega sentiva crescere in lei il dolore e la rabbia guardando ciò che lei sentiva di non poter avere.. Gelosa verso chi le aveva rubato quegli occhi che prima guardavano lei, invidiosa per quelle doti che Biancaneve aveva e lei desiderava e sentiva di non poter avere..

Invidia e gelosia si confondevano e alimentavano pensieri e azioni volti a distruggere. Lo specchio rappresentava la sua realtà, la sua ossessione. Ogni suo pensiero, ogni sua azione, era strategia di distruzione per avere il cuore di colei che le aveva portato via gli sguardi di ammirazione, il cuore di colei che aveva ciò che prima aveva lei, ciò che lei non avrebbe potuto più avere o non aveva mai avuto. Tutto ruotava intorno al verdetto dello specchio, uno specchio che le risuonava dentro. Si sentiva esclusa, la sua rabbia cresceva, la follia diventava padrona dei suoi gesti meccanici, ripetitivi, continui, che scandivano ormai il suo tempo, il suo spazio.

Andare verso l’altro era per lei andare contro l’altro ed inevitabilmente contro se stessa. I suoi occhi non le permettevano di vedere l’altro, di sentirsi, di accettarsi. Gli occhi della strega non incrociavano più quelli di Biancaneve. Il suo specchio era diventato ormai la sua realtà, il verdetto la voce interiore che la ossessionava.

Eppure un giorno lo specchio si ruppe. La strega iniziò a guardarsi in uno specchio diverso, nuovo, più luminoso.. uno specchio dai nuovi riflessi, che la metteva di fronte a nuove domande, nuove possibilità,……”

Scoprire le opportunità evolutive nascoste dietro agli eventi, esterni o interni, piacevoli o dolorosi, della nostra vita, ci permette fortunati balzi evolutivi altrimenti impossibili, visioni allargate del senso delle cose, ampliamenti di prospettiva, trasformazioni di coscienza che ci riavvicinano gradualmente alla nostra dimora originaria, alla nostra Casa Spirituale, al nostro vero Sé.

Ed è questo l’unico, supremo scopo dell’esistenza umana.

idam te natapaskaya
nabhaktaya kadacana
na casusrusave vacyam
na ca mam yo ‘bhyasuyati

“Questa conoscenza confidenziale non dovrà mai essere rivelata agli uomini non austeri, o non devoti o non impegnati nel servizio devozionale, né a coloro che sono invidiosi di Me”

(Bhagavad-gita XVIII, 67)

Caterina Carloni

Di Cateca

Caterina Carloni, psicologa e psicoterapeuta

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